sabato 30 giugno 2018

Gruppo Facebook | HOMEBREWING CONDOR

La continua passione mi ha fortemente condizionato sull'idea di promuove l'esperienza casalingo brassicola, anche per questo ho deciso di dedicare uno spazio per gli amici che seguono il blog. Un gruppo chiuso in cui potersi riunire e confrontarsi, sulle proprie esperienze casalingo brassicole, liberi di esprimere la propria opinione nel rispetto degli altri.

Nel caso questo mondo ti è nuovo e sei comunque curioso di sapere come viene prodotta una birra, non esitare ad iscriverti.

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venerdì 29 giugno 2018

Kveik

Parte della rubrica Farmhouse Ale
Colture di Lieviti Tradizionali
"I'm really happy to hear you want to spread the knowledge
 about true farmhouse ale"
Lars Marius Garshol, in un suo messaggio.


In questi anni ho avuto modo di occuparmi molto delle birre norvegesi (per saperne di più clicca qui), un affascinante mondo brassicolo. La Norvegia presenta diversi stili di birra, con particolari  metodi di produzione, nonostante ciò la cosa che risalta agli occhi degli appassionati sono le particolari colture miste usate in fermentazione, conosciute come Kveik. Diversamente dai lieviti commerciali questi lieviti sono molto particolari, tramandati di generazione in generazione.

Guida Pratica | INTRODUZIONE |  ep. 1

Attualmente la parola kveik è abbastanza conosciuta anche in Italia, possiamo considerare l'utilizzo di questo lievito una nuova moda. Tuttavia, troppo spesso alla parola kveik viene attribuito erroneamente uno stile di birra. Chiamiamola semplicemente confusione brassicola.

Sarebbe opportuno sapere che kveik è un termine dialettale norvegese per identificare il lievito. Per una maggiore chiarezza, la parola usata in Norvegia riferendosi al lievito in modo generico è Yest Yester. La forma dialettale kveik indica il lievito delle fattorie tradizionali, comune nelle zone occidentali e meridionali, mentre nella zona orientale della Norvegia viene chiamato Gong. Un'ulteriore distinzione viene fatta con il termine Gjær, per indicare il lievito commerciale comune.

Il kveik non è una coltura di lievito cresciuta in un laboratorio, si tratta di colture miste che si sono adattate nel tempo alle condizioni di ogni fattoria.

Questi lieviti non sono convenzionali, sono ceppi differenti ma geneticamente simili, riutilizzati nelle fattorie per generazioni con fermentazioni rapide (possono bastare anche solo 2 giorni) e a temperature molto alte (addirittura fino a 43 °C), diversamente dai classici ceppi di Saccharomyces. Nonostante le alte temperature di fermentazione, le birre non presentano aspetti fenolici e i lieviti sono in grado di produrre una buona attenuazione e flocculazione.

.Cenno Storico.
I kveik sono presenti in Norvegia da almeno 400 anni, in passato era l’unica forma di lievito disponibile. Venivano essiccati già nel 1600 per la conservazione, su tronchi di legno chiamati kveikstokker. Questa famiglia di lievito è stata compresa e conosciuta, solo di recente dal resto del mondo. Il leggendario scrittore inglese di birra Michael Jackson esplorò la Norvegia nel 1993, apprendendo i segreti delle birre artigianali tramandate attraverso "bastoncini magici". Dopo il viaggio di Michael Jackson in terra norvegese, nel 2014 Lars Marius Garshol e lo scrittore di birra canadese Martin Thibault hanno visitato la parte occidentale, alla ricerca delle birre di fattoria locale. L'antica tradizione della birra era ancora viva, ma la sorpresa più grande fu il lievito con cui veniva prodotta la birra, il kveik.


Lars Marius Garshol
“Quello che abbiamo scoperto in quel viaggio è stato uno shock di tali proporzioni che ha cambiato in modo permanente il corso della mia vita.” Lars Marius Garshol

Lars Marius Garshol è un ingegnere informatico, che vive con la sua famiglia nella periferia di Oslo. Durante un Natale Lars ha ricevuto in regalo dalla moglie un libro sulla tradizionale birra nordica.  Nel 2014 ha scritto e pubblicato il suo primo libro sulla birra: Lithuanian Beer: A Rough Guide. Lars ha visitato dozzine di fattorie nella Norvegia occidentale, dove ha raccolto campioni di lievito del tutto anomali per gli standard tradizionali.  Questi stessi lieviti furono inviati anche al National Collection of Yeast Cultures di Norwich, Regno Unito. Inoltre, Lars documentò tutti i suoi viaggi online, su Larsblog,  e catalogò le sue scoperte in un registro dei lieviti di fattoria. Oggi è ancora l'archivio kveik più completo. Non tutti i lieviti sono stati analizzati e raccolti ma il registro viene aggiornato continuamente.

Analisi Scientifica
"Characterization of genotype and beer fermentation
properties of Norwegian Farmhouse Ale Yeasts".
Truls Rasmussen.

Grazie al contributo di Lars Marius Garshol, il dipartimento  di biotecnologie presso l'Università (NTNU) di Trondheim ha eseguito le prime ricerche sui kveik (per saperne di più clicca qui). Cercherò di spiegare , in breve, alcuni dei concetti salienti di questa ricerca. Il primo aspetto emerso è che si tratta di Colture Miste, contenenti più di un singolo ceppo di lievito e possibili contaminazioni  batteriche. L'analisi del DNA ha permesso di costruire un albero filogenetico, di tutti i lieviti, un aspetto fondamentale per capire quali lieviti siano più strettamente correlati e quali più distanti. Per quanto riguarda l'Identificazione della Specie è stato usato uno strumento con i dati genetici, qui sotto ho voluto riportare alcuni dei risultati che davano più certezze sulla specie di appartenenza.

Cultura Raftevold (Saccharomyces Boulardii)
Cultura Gausemdel (Saccharomyces Boulardii)
Cultura Rivenes (Saccharomyces Boulardii)
Cultura Idun (Saccharomyces Boulardii)
Cultura Stranda (Saccharomyces Cerevisiae)
Cultura Sigmund (Saccharomyces Cerevisiae)
Cultura Hornindal (Saccharomyces Cerevisiae)

Generalmente il Saccharomyces Boulardii dovrebbe essere un lievito tropicale strettamente correlato al lievito di birra, una scoperta affascinante ma alquanto bizzarra. E' inspiegabile come sia stato possibile individuare una specie tropicale, allo stato selvatico, nel freddo della Norvegia. Secondo Lars si trattava di una variante di Saccharomyces Cerevisiae, capace di condividere alcuni geni di tolleranza alle alte temperature con Saccharomyces Boulardii. L'alternativa più suggestiva poteva essere semplicemente una nuova specie di Saccharomyces. Il Tasso di crescita riscontrato risultava molto veloce e generalmente simile tra i kveik, diversamente dai lieviti più comuni. Il Sigmund's Voss è stato il più veloce nella crescita, mentre Stranda il più lento. La Flocculazione appariva nettamente differente dai comuni lieviti, in velocità e nella tipologia. Nei kveik le cellule si aggregavano spontaneamente e si depositavano rapidamente, salendo in superficie o sul fondo. Nel kveik di Hornindal, il 100% delle cellule si assestavano dopo solo 5 minuti.


Nuove Analisi Scientifiche
I Kveik sono un gruppo geneticamente distinto di Saccharomyces cerevisiae
Kveik #15 Nornes Voss al mio microscopio
In queste successive ricerche sui kveik, dei ricercatori Richard Preiss, Caroline Tyrawa e Kristoffer Krogerus, è emerso che i tradizionali lieviti norvegesi sono un gruppo geneticamente distinto di Saccharomyces Cerevisiae. Detto questo, non fatevi ingannare credendo che i kveik siano dei semplici Saccharomyces Cerevisiae, perchè non sono semplici lieviti.



Un articolo riguardante queste ricerche è presente sulla rivista di microbiologia più citata al mondo (Frontiers in Microbiology), con le nuove e importanti informazioni.

E’ stato sequenziato l’intero genoma di 6 differenti kveik. Geneticamente, il lievito kveik forma il proprio gruppo di ceppi Ale, strettamente correlati tra loro. Una metà deriva da un precoce lievito "Beer 1" ("Beer 1" e "Beer 2" sono i gruppi dei noti ceppi sequenziati dallo studio Gillons / White Labs, nel 2016), mentre l'altra è di origine selvaggia, dunque uno sfondo ibrido. I kveik appartengono e condividono le stesse origini con il più grande gruppo (Beer 1) di lieviti da birra, usati per la produzione commerciale.


Albero genealogico semplificato
Il gruppo Beer 1 dovrebbe avere origini territoriali nell'Europa continentale dove è stato successivamente trasportato in molte direzioni, arrivando anche ​​in Norvegia. Gallone et al. (Domestication and Divergence of Saccharomyces cerevisiae Beer Yeasts) quantificarono  che i lieviti di Beer 1 iniziarono a dividersi intorno al 1600, ma Lars Marius Garshol ritiene più probabile che i kveik abbiano iniziato a divergere molto tempo prima.


Albero filogenetico di massima verosimiglianza basato su SNP a 142120 siti in ceppi di 166 S. cerevisiae (radicati con S. paradoxus come outgroup). Filogenesi dei sei ceppi kveik sequenziati confrontati con due ceppi di controllo e i ceppi di 157 S. cerevisiae sequenziati in Gallone et al. (2016). Fonte Frontiers in Microbiology

Inoltre, si sono evidenziati 
alti livelli di Eterozigosità, suggerendo che la famiglia kveik è geneticamente più varia rispetto a molte altre famiglie di lievito di birra. L’eterozigosi è la condizione genetica di una cellula o di un organismo costituita dalla presenza di una coppia di alleli diversi per un dato gene. Gli alleli controllano lo stesso carattere ma possono portare a prodotti quantitativamente o qualitativamente diversi. Inoltre i ricercatori riportano che questi lieviti formano spore sessuali vitali, cosa rara per i lieviti di birra.


Non sono Fenolici 
Sono stati esaminati i sapori prodotti dai Kveik (usando la gascromatografia) evidenziando che non sono lieviti fenolici (POF-), mentre il lievito selvatico è quasi sempre fenolico (POF +). In altre parole, questa è una prova ulteriore che questi lieviti sono colture miste che si sono adattate al tempo e alle condizioni di ogni fattoria, addomesticati e non selvaggi. Inoltre, sembra che i Kveik utilizzino molto facilmente il maltotriosio (un trisaccaride costituito da tre molecole di glucosio), uno zucchero presente nel mosto ma che difficilmente si trova in natura, anche per questo i lieviti selvaggi non sono capaci di utilizzarlo. Diversamente per il #4 Muri (identificato come un ibrido) e il #16 Simonaitis, gli unici fenolici (POF +), dove sono stati evidenziati chiari differenze con gli altri Kveik nell'albero genealogico dei comuni lieviti di birra. In poche parole il Simonaitis e il Muri non sono da considerarsi Kveik.


Albero filogenetico. In rosso i ceppi kveik, mentre i ceppi Muri e quelli lituani si estendono completamente al di fuori dal gruppo kveik. Fonte Larsblog
Contaminazioni da Batteri Lattici
Ulteriori risultati hanno dimostrato che diverse colture Kveik possono presentare contaminate da batteri lattici. La contaminazioni probabilmente è dovuta al tempo e alle tante conservazioni, rispetto alla primitiva coltura. Questi batteri lattici possono essere inibiti (10 IBU) o sfruttati a nostro piacimento.

Tolleranza alla Temperatura
Generalmente tutti i ceppi di Kveik possono crescere alla temperatura di 40 ° C.  Lo stesso Richard Preiss, nei test di laboratorio, ha scoperto che il Sigmund Voss può fermentare fino a 43 ° C (tradizionalmente viene inoculato a 39 °C ma durante il processo fermentativo la temperatura risulta essere ancora più alta.), diversamente dai normali lieviti comuni.

Tolleranza Alcolica
Nei test di laboratorio i ricercatori hanno evidenziato anche  una tolleranza alcolica molto alta, dai 13%  fino a raggiungere i 16%. Dati significativamente differenti dai lieviti che comunemente siamo abituati ad utilizzare nelle nostre fermentazioni. Un chiaro segnale di come questi kveik si sono adattate alle condizioni di ogni fattoria, dove gli agricoltori norvegesi solitamente producono birre molto forti.

Flocculazione
La Flocculazione è un processo chimico-fisico di un sistema colloidale, in cui la fase solida tende a separarsi da quella liquida. Nei kveik questo processo risulta eccellente. Malgrado questa eccessiva flocculazione del lievito, molto spesso si possono trovare online immagini di birre fermentate con kveik dal risultato piuttosto torbide. Il problema torbidità sarebbe da valutare in un contesto più grande, che comprenda tutto il processo di produzione e lo stesso stile della birra in questione. Bisognerebbe capire bene le cause della torbidità di una birra, perchè le variabili sono molteplici. Detto questo, la torbidità che spesso si nota nelle birre fermentate con kveik, potrebbe risiede proprio nell'alta flocculazione. Diversamente da ciò che si possa pensare, una fermentazione veloce con un'altrettanta flocculazione non danno il giusto tempo agli oli e ai polimeri dei luppoli, di attaccarsi agli stessi lieviti, rimanendo liberi di creare torbidità nella birra.

#5 Hornindal Kveik impiega un intervallo di soli due minuti per flocculare in modo incredibile. La Flocculazione è un processo chimico-fisico di un sistema colloidale, in cui la fase solida tende a separarsi da quella liquida.

Carateristiche Generali 
Dopo questi differenti studi si può cercare di riassumere, in modo del tutto approssimativo, le caratteristiche di una coltura di Kveik.          

Cosa aspettarsi da un Kveik
La domanda che mi viene 
chiesta con maggiore frequenza


Guida Pratica | COME UTILIZZARE I LIEVITI KVEIK | ep. 2

Sicuramente ci dobbiamo aspettare delle fermentazioni rapide, con sapori fruttati (spesso tropicali o agrumati), solitamente poco invadenti. Birre molto pulite senza un reale controllo della temperatura, durante il processo fermentativo. Nonostante questi lieviti non danno aromi fenolici, in alcuni casi possono aggiungere aromi di spezie natalizie o pepe. Possono presentare anche sapori molto neutri, che si adattano facilmente a stili di birra che non prevedono un carattere deciso dal lievito. Quest'ultimo aspetto è molto più attribuibile ai lieviti in commercio (ceppo singolo), rispetto ai tradizionali (coltura mista). Inoltre, in alcuni casi possono produrre insoliti sapori di umami,  che ricordano i funghi. Questi lieviti spesso possono esaltare il malto. Mentre, i tempi di maturazione in bottiglia sono quasi inesistenti.


Commerciali vs Tradizionali
Ceppo Singolo vs Coltura Mista

La primissima differenza tra i lieviti di fattoria tradizionali e quelli che possiamo trovare in commercio, risiede nella complessità del campione. Come visto in precedenza i lievito kveik tradizionali sono colture miste di ceppi kveik, che possono in alcuni casi contenere batteri. Mentre, i lieviti in commercio, sono generalmente ceppi kveik isolati, da colture miste tradizionali. 

In laboratorio vengono isolati i ceppi, eliminando possibili contaminazioni, alla ricerca di quello più interessante per i criteri dettati dall'azienda. In alcuni casi sono stati isolati e successivamente miscelati ceppi di colture diverse. L'obbiettivo dell'azienda è quello di creare un prodotto vendibile, che spesso può coincidere con esigenze fermentative poco caratterizzanti, con un ampio range di temperatura e un processo fermentativo brevissimo. Chiaramente, tutto ciò è frutto della mia idea personale, in base alle innumerevoli prove realizzate con questi lieviti.

Diversamente, i lieviti tradizionali sono stati selezionati negli anni, tramite esperienze dirette e priorità dei proprietari originari. Ovviamente, nonostante ci si riferisca agli stessi ceppi di lieviti, le caratteristiche essenziali sono abbastanza diverse. 

La coltura tradizionale funziona in una simbiosi, del tutto straordinaria. Dove anche i batteri possono essere parte attiva di questa stessa simbiosi. Tutto ciò, non viene supportato ancora da una ricerca di laboratorio che ci possa dire come tutto questo possa avvenire.

Resta il fatto che i ceppi commerciali mantengono inalterate, molte delle caratteristiche tipiche di una coltura tradizionale, ma non riescono a conservare la stessa velocità di fermentazione, la flocculazione o l'apporto si sapore nella birra finita. Ciò non toglie che l'utilizzo di ceppi isolati in laboratorio sia un'esperienza altrettanto interessante e sicuramente più sicura.
Quantità di inoculo del lievito

Come detto, le colture di lieviti tradizionali sono più complesse a discapito della sicurezza. In passato questi lieviti venivano conservati e utilizzati poche volte l'anno (spesso per feste e celebrazioni), salvaguardando maggiormente le colture da possibili contaminanti. Inoltre, nella maggior parte dei casi i kveik vengono raccolti nella parte alta (Top Cropping), aspetto che ha garantito nel tempo una continua e importante qualità. Oggi, nelle nostre case vengono utilizzati per innumerevoli fermentazioni e conservazioni, aumentando notevolmente i rischi di contaminazioni. Queste colture funzionano sorprendentemente bene, ma ricordatevi che l'utilizzo può essere sempre un rischio poco calcolabile. Nel caso di birre da consumate dopo poco tempo dalla produzione, il rischio è molto ridotto, ma diversamente quello stesso rischio può aumenta in modo esponenziale. Personalmente, appena noto anche piccoli cambiamenti nella birra finita evito si usare quella stessa coltura.

Come utilizzare i Kveik
Kveik sul mio Kveikstokk
Troppo spesso, l'idea di utilizzare questi lieviti di fattoria risulta esaltante, con enormi aspettative. Ma sempre più spesso, vengono riportare lamentele per le scarse attenuazioni e le fermentazioni lente.In realtà, ci sono troppe colture kveik a disposizione di molti e pochi con una conoscenza dell'utilizzo. In realtà, questi lieviti non permettono scorciatoie o miracoli fermentativi. Come avviene per l'utilizzo di lieviti comuni, anche i kveik richiedono una certa esperienza e conoscenza, indispensabile per ottenere buoni risultati.

1. Controllate le informazioni relative alla coltura kveik che volete utilizzare. Non tutti i kveik si comportano alla stessa maniera. Consultate il registro dei lieviti di Lars Marius per ottenere le giuste informazioni.

2. Una giusta fermentazione viene favorita dall'underpitch. I bassi livelli di inoculo del lievito fanno emergere notevolmente il carattere dei kveik. Basti pensare, che tradizionalmente in Norvegia molti produttori utilizzano 1 grammo di lievito secco per 25 litri di mosto. Detto questo, la questione è più complessa del previsto perchè i kveik vengono usati generalmente per fermentare  birre crude, con terreni di crescita ricchi di proteine e sostanze nutritive, diversamente dai mosti che vengono preparati nelle nostre case, dove si preferisce sfruttare il processo di bollitura del mosto. Naturalmente non è indispensabile preparare queste stesse birre crude di fattoria, per utilizzare una coltura tradizionale, ma la maggiore conoscenza ci può aiutare a gestire al meglio le future fermentazioni. 

Dunque, per le nostre produzioni (con mosti bolliti) una buona regola è quella di inoculare un quantitativo maggiore di lievito. Proprio per questo, personalmente inoculo 5 grammi di lievito per  25 litri di mosto, con l'aggiunta indispensabile di nutrienti per lievito.



Escarpment Labs ha realizzato una serie di esperimenti sul tasso di inoculo, utilizzando tre differenti inoculi:
a. 1 M / mL (1 milione di cellule / mL, 10% tasso)
b. 7 M / mL (7 milioni di cellule / mL, 70%)
c. 10 M / mL ( 10 milioni di cellule / mL). 

Il tutto è stato realizzato su un mosto con una densità di 1.053 OG, a 20 °C. Il risultato emerso ci dice che con un tasso minore aumenta l'intensità del sapore di alcuni kveik, ma non esiste una regolarità per tutti le colture. Contrariamente da ciò che si possa pensare, la ricerca ci mostra che un tasso minore di inoculo non porta a fermentazioni più rapide e più vigorose. Mentre, il tasso di inoculo più opportuno è compreso tra il 10 e il 70%. È importante notare che questo esperimento è stato condotto  con bassi livelli di densità e temperatura di fermentazione, poco affini con i kveik.

3. Questi lieviti sono usati tradizionalmente per alte densità e temperature altissime. In caso di fermentazioni con densità sotto i 1050 e temperature inferiori a 30 °C, il possibile rimedio è quello di utilizzare nutrienti e un quantitativo di lievito maggioreIl tutto ci permette di evitare fermentazioni lente e scarse attenuazioni.


4. La capacità di fermentare bene alle alte temperature è l'aspetto più affascinanti dei lieviti kveik. Mi sembra inutile dire che se si è alle prese con una produzione tradizionale, sarebbe opportuno fermentare alla stessa temperatura di fermentazione utilizzata dal proprietario originario del kveik. 

Generalmente i sapori fruttati o speziati della fermentazione, aumentano con la temperatura. Molti di questi lieviti possono essere utilizzati in un range di temperature sorprendentemente grande, nonostante le temperature estremamente calde di utilizzo tradizionale. Diversi kveik con le dovute accortezze del caso possono portare a fermentazioni molto pulite, simili a quelle che vengono ottenuto con l'utilizzo di lieviti Lager. Quando un kveik viene gestito come un normale lievito, con un tasso di inoculo standard e una temperatura compresa tra i 15 e i 20 °C, generalmente produce un profilo di sapore abbastanza neutro e pulito. Con un leggero aumento dei tempi di fermentazione, sempre abbastanza inferiori rispetto ai lieviti classici. Un aspetto che cercherò di chiarire con un intero post.

5. I produttori tradizionali, proprietari delle colture kveik, quando produco le loro birre crude difficilmente arrivano ad ossigenare il mosto. Nonostante ciò, nelle produzioni con mosto bollito viene consigliato sempre ossigenare. 

6. Utilizzando kveik, con l'aumentare dei tempi tra la fine della fermentazione e l'imbottigliamento potrebbe causare problemi per la rifermentazione in bottiglia. Questi lieviti in poco tempo tendono a stratificarsi fortemente sul fondo. Dunque, se durante il priming il lievito non si troverà in sospensione non ci sarà rifermentazione in bottiglia. Per evitare ogni possibile rischio, sarebbe opportuno utilizzare un nuovo lievito per la rifermentazione.

Kveik a Temperature Basse
Guida Pratica | KVEIK A TEMPERATURE BASSE | ep. 3

I lieviti kveik si sono imposti sulla scena brassicola per le temperature altissime e la velocità di fermentazione. Questi particolari lieviti non finiscono mai di sorprendere. Infatti, non sono pochi gli appassionati di birre lager che hanno deciso di provare i kveik a temperature più basse, per ottenere  birra dal profilo pulito e neutro. In questi casi il lievito viene gestito come un classico lievito ale, con uno tasso di inoculo e temperatura standard.

L'impatto del lievito sul pH della birra
Quasi tutti gli ingredienti svolgono un ruolo nel modulare il pH della birra, che risulta essere fondamentale durante tutto il processo fermentativo. Lo stesso vale per il lievito, dove alcuni si dimostrano più incisivi di altri, come nel caso specifico dei kveik. Generalmente i ceppi kveik abbassa il valore del pH rispetto ai classici lieviti. Questo aspetto incide sul sapore perchè un basso pH della birra è associato alla percezione di un minore corpo, nonché a un carattere del luppolo più forte. Questi dati presentano delle possibili soluzione come quella di utilizzare dell'acqua con un maggiore pH. Inoltre, è indispensabile evitare un pH del mosto troppo basso. In ammostamento sarebbe utile avere un pH 5,5-5,6. Questa attenta valutazione del ph può aiutare a migliorare le caratteristiche sensoriali finali della birra, non dimenticatelo. 

Gli altri parametri  indispensabili
Il tasso di inoculo in questione deve rispettare quella dei lieviti classici (0,7-1 milioni di cellule / mL / ° P), per un profilo aromatico neutro e una fermentazione rapida. Mentre, per la temperatura di fermentazione vi consiglio di stare tra i 15 e i 20 ° C o poco più. L'ultimo aspetto riguarda i nutrienti per il lievito. Generalmente i kveik richiede almeno 180 ppm di FAN, rispetto ai lieviti lager che usano abitualmente circa il 30% in meno di FAN. Ciò significa che un mosto a bassa densità può essere insufficiente per il lievito e provocare scarse attenuazioni e aromi sgradevoli, come quelli solfurei.

Kveik e Diacetile
Questi lieviti non lascia normalmente
valori di diacetile rilevabile nella birra finita

Richard Preiss su Milk The Funk

Richard Preiss in una mia recente discussione sul gruppo Facebook Milk The Funk, afferma che in genere i lieviti kveik non lasciano diacetile rilevabile nella birra. Tuttavia, alcuni ceppi possono produrre una discreta quantità di acidi organici volatili come l'acido decanoico, che sono anche percepiti come latticini e potrebbero essere confusi con il diacetile.

Guida Pratica | KVEIK e DIACETILE | ep. 4

Conservazione e Mantenimento
Diversamente dai lieviti commerciali i kveik sono stati storicamente tramandati di generazione in generazione, quasi sempre nella forma essiccata. Questo risulta anche uno dei motivi per cui questi particolari lieviti riescono a tollerare l'essiccazione. Le persone hanno sempre asciugato il loro lievito, pertanto quest'ultimo non ha mai perso la capacità di gestire il processo d'essiccazione, diversamente dai lieviti di birra moderni. Il kveik può essere raccolto e riutilizzato, ricordando che si tratta sempre di una cultura mista, diversamente da quelli commerciali. Questo aspetto non può essere trascurato se si vuole salvaguardare l'equilibrio iniziale della cultura, essendo composta  da ceppi in quantità differenti e da possibili batteri. E' inutile dire che modificando questo fragile equilibrio, il cambiamento del kveik è inevitabile. La tecnica migliore per il recupero, il mantenimento e la conservazione, devono rispecchiare esattamente i criteri del proprietario originale. Per facilitarvi il compito, dovete ottenere le risposte alle seguenti domante:

a. Dopo quanto tempo recuperare il lievito, dall'inoculo?
b. Da dove recuperare il lievito, in superficie o sul fondo?

Mantenimento Coltura
Esistono diversi metodi di conservazione delle coltura:
a. In bottiglie di acqua (lievito in forma fresca e liquida)
b. In anelli di paglia (forma disidratata)
c. In pezze di panno di lino o provette (forma disidratata)
d. In tronchi o anelli di legno (forma disidratata)

Sicuramente il modo migliore di conservare questi lieviti è in forma liquida in un barattolo (evitate il vetro perchè alcuni kveik sembrano continuare la loro attività fermentativa anche in frigorifero. Anche con i barattoli di plastica fate attenzione alla pressione, sgasate di tanto in tanto), ma personalmente la conservazione tradizionale con il processo di essiccazione è tutta un'altra storia (per saperne di più sul processo di essiccazione, clicca qui.)

a. Forma liquida in frigo, durata prevista 1 anno.
b. Forma essiccata in congelatore, durata 20 anni.

Conservazione
per saperne di più clicca qui

Conservazione su Legno
per saperne di più clicca qui

La mia esperienza tradizionali

Per concludere volevo ringraziare Lars Marius Garshol, per la pazienza e la disponibilità dimostratami. Grazie!!!

Questo post è solo a scopo informativo, sulle mie esperienze, non mi assumo la responsabilità su ciò che farete e sui danni che potrete causare.

venerdì 8 giugno 2018

Luppolo: Propagazione per Talea

Parte della rubrica Coltivare il Luppolo
Nuove riproduzioni



Eccomi nuovamente qui a raccontarvi come prosegue la mia avventura con la coltivazione del luppolo. Dopo l'inizio della stagione (per saperne di più clicca qui) e la lunga attesa, ho cercato nuove strade ed esperienze, realizzando diversi tentativi di propagazione per talea. Per i tanti appassionati quello per talea non rappresenta generalmente il classico metodo di propagazione del luppolo, come diversamente accade per il rizoma.


I Rizomi se trattati nel modo giusto possono essere conservati per diverso tempo (da quando vengono rimossi dalla pianta madre fino a circa due 2 mesi, anche se nel corso del tempo subiscono una perdita di vigore), risultando molto funzionali alle esigenze dei coltivatori.


Talea
Propagazione

La riproduzione per mezzo di una parte di ramo, un pezzo di fusto o di radice, viene definita propagazione per talea. Non tutte le piante riescono ad attuare questo processo, ci sono specie in cui le talee non formano radici o lo fanno in tempi troppo lunghi. Generalmente esistono diverse tipologie di talee (legnose, semilegnose, fogliari ed erbacee) per cui si può effettuare questo trattamento in specifici periodi dell'anno (primavera, piena estate, fine estate o inverno). Questo sistema viene usato perché diversamente dai semi, permette di ottenere piante perfettamente identiche a quella madre.

Talea semilegnosa sono parti di rami con foglie, dove viene fatto un taglio trasversale. Il periodo migliore è tra giugno e settembre. Innaffiature: regolari, con tempi di radicazione generalmente tra i 20 e i 30 giorni. Le piante da talee, prima della messa a dimora, devono essere piantate in torba e tenute in un posto umido con temperature sui 18 °C.


Nel mio caso specifico, con una pianta di discreto sviluppo, del secondo anno (per non creare  eccessivi traumi e compromettere una pianta troppo giovane), ho ottenuto le mie talee. Dopo la scelta dei germogli destinati alla crescita, ho tagliato gli altri steli utilizzando solo quelli tra 10 e 20 cm per il mio scopo. Il passaggio successivo è stato quello di sfibrare (tagliare o schiacciare) la parte finale dei rami. Non ho previsto terreno per le mie talee ma solo acqua, evitando la formazione di muffe e funghi, semplicemente cambiando spesso l'acqua (dai risultati ottenuti non credo di cambiare metodo). Risultato: il tempo di radicazione con l'emissione delle radici, non è risultato essere similare per tutte le talee, bisognerebbe dare il giusto tempo alla natura, la crescita è avvenuta con una variazione di 10/20 giorni o addirittura anche un mese. Successivamente alla formazione di radici adeguate, ho travasato la piantina in un bicchiere di plastica con terriccio fertile, continuando ad innaffiare molto spesso perché l'assorbimento di acqua è ancora molto limitato per le poche radici.



Informazioni aggiuntive: utilizzare rametti vigorosi è un fattore indispensabile. Generalmente sarebbe opportuno provare questa tecnica tra maggio e giugno, per dare il giusto tempo alla pianta di propagarsi a sufficienza e sopravvivere all'inverno. Mentre per favorire e sviluppare la radicazione si potrebbero aggiungere delle gocce di ormoni della crescita o semplici sali minerali, anche se non ritengo il tutto fondamentale (personalmente non li ho mai usati).

Metodo in bottiglia
Propagazione

La propagazione per talee mi piace molto anche per questo ho provato quasi tutte le tecniche. In modo particolare il metodo con la bottiglia ha catturato il mio più forte interesse. 

Attrezzatura  
Bottiglia di plastica (1,5- 2 litri)
Pennarello
Forbice

Metodo
Come prima cosa si deve segnare con un pennarello la bottiglia, in corrispondenza del fondo, dove andranno eseguiti dei buchi utili per il drenaggio. Mentre nella parte del corpo della stessa bottiglia andranno eseguiti dei tagli completi.


In questa fase, prima di eseguire i tagli è importante valutare che la parte inferiore della bottiglia si possa inserire al meglio nella parte superiore.
Una volta realizzati correttamente i tagli sulla bottiglia, si può preparare la talea (precedentemente scelta) e il terreno, possibilmente ricco di materiale drenante. Inserire il terriccio nella parte inferiore della bottiglia e dopo aver eseguito la bagnatura dello stesso (il terreno deve essere umido e non inzuppato d'acqua). Durante la preparazione della talea si deve tenere conto della sua grandezza rispetto all'altezza del recipiente e del terreno. Proprio per questo è utile sapere che almeno un terzo della talea deve essere coperta. In questa fase può essere utile usare ormoni radicanti. Successivamente si chiude la bottiglia con la parte alta, come se fosse un coperchio, in modo da incastrare le due parti.


Terminata questa operazione non si dovrebbe più aggiungere acqua, perchè l'evaporazione dell'acqua generata dal terreno umido evita la disidratazione della talea. Volendo si potrebbe sigillare il taglio della bottiglia con del nastro adesivo ma io preferisco non farlo. Come ultimo consiglio, vi ricordo di non dimenticare di scrivere la data e soprattutto il nome del luppolo

Per maggiori informazioni
 sulla coltivazione del luppolo clicca qui.

Questo post è solo a scopo informativo, sulle mie esperienze, non mi assumo la responsabilità su ciò che farete e sui danni che potrete causare.