domenica 26 aprile 2020

Post-Conservazione per due lieviti Kveik | Weekly Vlogs #4

Quarto appuntamento di Weekly Vlogs. Un episodio che riguarda principalmente la crescita di due differenti lieviti kveik, a distanza di 10 mesi di conservazione, tra congelatore (con glicerina) e frigorifero (con acqua distillata).

giovedì 23 aprile 2020

L'importanza di Gestire il Lievito tra Recupero e Conservazione

Parte della rubrica CondorLAB
Gestione del lievito 
"La fermentazione alcolica potrebbe essere 
la prova dell'esistenza di Dio."




La famosa frase “il mastro birraio fa il mosto, il lievito fa la birra” è sicuramente una grande verità, ma favorire le migliori condizioni possibili di lavoro e la gestione completa dello stesso lievito, spetta a noi produttori. Non proprio un compito semplice e poco impegnativo, ma sicuramente alla portata di tutti.

Un aspetto unico della birra è la possibilità di conservare e utilizzare, un sottoprodotto della stessa produzione. Tutto ciò può avvenire perchè il lievito risulta in buone condizioni dopo il processo fermentativo. Basti pensare che non sono pochi i birrifici che utilizzano lievito raccolto per nuove cotte.

L'aspetto più importante in questo caso è quello di preservare la purezza della coltura iniziale.

Sicuramente per garantire un alto livello di purezza al campione bisogna lavorare in un ambiente pulito, sterile e utilizzare una fiamma libera durante le diverse fasi di trasferimento. Ridurre al minimo ogni possibile passaggio che possa risultare un rischio di contaminazione. Utilizzare prodotti sanitizzanti opportuni e fogli di alluminio o altre coperture igieniche.

COME RACCOGLIERE IL LIEVITO
Diversamente da ciò che si potrebbe pensare, un lievito che floccula in anticipo, prima che la fermentazione sia terminata del tutto, contiene più cellule morte e sedimenti. Questo lievito se venisse utilizzato come reinoculo porterebbe ad attenuazioni sempre minori, proprio per questo viene buttato o utilizzato come nutriente. Il lievito si ammassa in quantità opportune per la raccolta, nella parte superiore e sul fondo. In quest'ultimo caso, la raccolta del lievito è più semplice perchè tutti i lieviti, in un modo o nell'altro, arriveranno sul fondo. Mentre la raccolta nella parte superiore risulta difficoltosa per il fatto che non tutti i ceppi si raccolgono in quella zona.

I lieviti Ale (alta fermentazione) sono quelli che fermentano nella parte alta, perchè la superficie idrofoba di queste cellule permette agli agenti flocculanti dello stesso lievito di aderire ‎all'anidride carbonica (CO2). Storicamente i lieviti Ale venivano sempre raccolto dalla parte alta, nonostante oggi si preferisca la raccolta dal fondo, grazie ai fermentatori moderni che permettono una più semplice pulizia e raccolta. Nonostante ciò, ricordate che l'ambiente e la salute del lievito rappresentano un ruolo fondamentale sulla velocità di esaurimento delle cellule.

  Lievito kveik in sospensione

Con la scoperta dei kveik molte persone si sono chiesti come sia stato possibile tramandare dei lieviti, con minime o quasi inesistenti contaminazioni esterne, riutilizzati nelle fattorie per generazioni. La raccolta dalla parte alta del fermentatore (Top Cropping) potrebbe essere il vero motivo che ha permesso di riutilizzare questi lieviti per secoli, garantendo una continua e importante qualità. Il lievito si trova nella parte alta, libero da stress e sedimenti, con una maggiore vitalità e carica vitale. Diversamente dalla minore qualità del lievito recuperato dal fondo, che contiene cellule stressate e non proprio sane, condizioni che favoriscono in minore tempo possibili mutazioni.

Top Cropping
Generalmente dopo le prime 12 ore di attività, i ceppi Ale risalgono in superficie per 3 o 4 giorni, durante la fermentazione tumultuosa dove viene prodotta più ‎anidride carbonica. Solitamente è utile scartare il primo prelievo in superficie perchè contiene molte proteine. Successivamente, il lievito può essere raccolto senza aspettare ulteriore tempo. Questo campione potrebbe essere subito riutilizzabile o conservato in forma liquida, in frigorifero o in congelatore con glicerina (per saperne di più clicca qui). Nel caso dei kveik, questi ceppi possono essere conservati anche in forma essiccata.

Raccolta dal Fondo
Recuperate il lievito il prima possibile, perchè una volta che la fermentazione è completa il lievito si decompone, consumando le sue riserve. Anche quando viene realizzato uno starter, non bisogna farlo girare per giorni e giorni, in attesa che gli zuccheri si esauriscano. Non vi è cosa più insensata. Il momento migliore per iniziare la fase di raffreddamento è quando la crescita è ancora attiva, mentre la raccolta avviene uno o due giorni dopo l'inizio dello stesso processo di raffreddamento. Finito questo passaggio ricordate di rimuovere sempre la birra dal lievito. Personalmente non ascolto mai chi conserva il lievito con del nuovo mosto per pochi giorni, perchè potrebbe favorire contaminazioni. Meglio utilizzare acqua distillata sterile e avere un lievito dormiente, ad una temperatura di 1/2 °C.

Viability e Vitality
(per saperne di più clicca qui)
I due termini rappresentano due aspetti diversi delle funzioni delle cellule ma entrambi necessari per la stima dello stato fisiologico di una cellula.

Con il termine Viability (Carica Vitale) si intende la percentuale di cellule vive in una popolazione intera.

Mentre con Vitality (Vitalità) si definisce propriamente le capacità fisiologiche delle cellule, cioè se una cellula, sebbene sottoposta a vari tipi di stress, riesce a dividersi sebbene abbia una serie di alterazioni dovute agli stress subiti.

Conservazione
Ogni lievito deve essere valutato in base alla propria condizione di raccolta e conservazione, ma il problema delle lunghe conservazioni risulta il mantenimento di un campione vitale e soprattutto che sia libero da possibili mutazioni.

Un lievito secco conservato a 2/3 °C può perde il 4% di carica vitale all'anno, mentre a 24 °C perde il 20%.

Un lievito kveik secco conservato in frigo o in congelatore può durare 20 anni.

Un lievito liquido in acqua conservato in frigo dopo solo 4 settimane può raggiungere una carica vitale intorno al 50%, mentre non dovrebbe andare oltre i 6/7 mesi di sopravvivenza.

Un lievito kveik liquido in frigo, non dovrebbe andare oltre l'anno di sopravvivenza.

Un lievito liquido conservato in congelatore (-19 °C) potrebbe avere una sopravvivenza superiore ai 5 anni.


Carica vitale e vitalità, post-scongelamento
Per ottenere qualche risposta certa, sarebbe opportuno avere dei dati sulla carica vitale e la vitalità. Detto questo, servirebbe una strumentazione adeguata che non è alla portata di un semplice homebrewer. Per i più curiosi, nel caso specifico della carica vitale, potrebbe essere utile avere un microscopio ottico (40X e 100X), vetrini e colorante (blu di metilene), per distinguere le cellule vive da quelle morte (dopo la colorazione, le cellule vive risultano trasparenti mentre quelle morte di colore blu.). Mentre non esiste un metodo standard per il calcolo della vitalità. Dalle informazioni che ho trovato, a livello puramente teorico, viene riportata una carica vitale finale di circa il 25%.


Non avendo molte altre certezze a disposizione, questo valore del 25% di carica vitale finale si aggiunge ai campioni iniziali che io generalmente conservo, da 25 ml e da 50 ml (solo lievito). Naturalmente il risultato della stima di carica vitale è sicuramente da prendere con le pinze. Il tasso vitale delle cellule viene influenzato da diversi fattori. Detto questo, il campione iniziale di 25 ml  può essere identificato con ottimismo a circa 50 miliardi di cellule, pari a 2 miliardi di cellule vive ogni millilitro di lievito. Tutta via Chris White nel suo libro sul lievito (Gli ingredienti della birra: il lievito), indica la vitalità tra 0,8 e 2 miliardi di cellule, per ogni millilitro di lievito.

Proseguendo in condizioni di vitalità (viability e vitality) presunta, vi riporto in evidenza un esempio della mia esperienza diretta.

Per moltiplicare le cellule di lievito di un campione di partenza di 50 ml, precedentemente congelato, servono degli starter in sequenza (con agitatore magnetico), per una fermentazione di 10 litri (OG 1050). In questo caso specifico bisogna arrivare a 97,5 miliardi di cellule (0,75 x 10 x 13 = 97,5).
Formula 
0,75 x 10 x 13 = 97,5
N x mosto da fermentare in litri x gradi Plato del mosto = milioni di cellule da inoculare
N = (milioni di cellule per millilitro di mosto, grado plato) 0,75 (Ale) e 1,5 (Lager)

Campione
Iniziale: 50 ml di lievito (circa 100 miliardi di cellule).

Post-scongelamento (vitalità ipotetica del 25%)50 ml di lievito (circa 25 miliardi di cellule).

Starter in sequenza: 97,5 miliardi di cellule per fermentare 10 litri di mosto (OG 1050).



Dunque, servirebbero 97,5 miliardi di cellule per una buona fermentazione. E' inutile dire che il progetto viene tenuto in piedi dalla sola teoria. Le cellule saranno realmente 97,5 miliardi, sufficienti per una buona fermentazione?

Il mosto sarà fermentato quasi certamente perchè i lieviti non si scoraggiano facilmente, ma il prodotto finito potrebbe risentirne notevolmente. Uno degli effetti collaterali di questo utilizzo è l'underpitching (un numero minore di cellule inoculate, rispetto a quelle dovute), con il risultato di una fermentazione incompleta. In questo caso, il lievito non avrebbe le condizioni ideali per lavorare, lasciando nella birra una certa quantità di zuccheri non fermentati. Per non parlare di possibili sapori e puzze sgradevoli, attribuibili allo stress del lievito. Un altro possibile rischio dovuto ad un inoculo insufficiente potrebbe essere l'aumento del tempo in cui il lievito si adatta al mosto (lag phase). Una fase prolungata aumenta i rischi di contaminazioni da lieviti selvaggi e batteri. Senza tralasciare possibili mutazioni dello stesso lievito.

Nonostante possibili rischi, in questi anni ho completato diverse fermentazioni con lieviti precedentemente congelati, quasi sempre con risultati più che soddisfacenti.


Questo post è solo a scopo informativo, sulle mie esperienze, non mi assumo la responsabilità su ciò che farete e sui danni che potrete causare.

domenica 19 aprile 2020

La mia vecchia/nuova Pilsner | Weekly Vlogs #3

Terzo appuntamento di Weekly Vlogs. 
Un episodio che riguarda principalmente
 la produzione della mia vecchia/nuova Pilsner.

La mia vecchia/nuova Pilsner


In passato ho provato la produzione di alcune lager, in realtà nulla di realmente rilevante. Il mio unico punto fermo rimane la mia vecchia Pilsner. La ricetta di questa birra è praticamente rimasta simile a quella iniziale, nonostante la brutta esperienza della prima produzione. La poca conoscenza e la difficoltà nel controllare le temperature basse, mi avevano portato ad ottenere una pessima birra. Viste le discrete basi della ricetta, ho cercato di colmare la mia conoscenza sulla gestione delle basse fermentazioni. Grazie proprio a questa conoscenza sono riuscito a creare nel tempo la mia unica e vera Pilsner.


Importanti considerazioni per gestire una bassa fermentazione.
Una bassa fermentazione non può essere fermentata correttamente senza il controllo della temperatura. Una cattiva gestione di temperatura durante il processo di fermentazione, sarà facilmente percepita in queste birre. Causando un eccesso di esteri, alcoli amilici, diacetile e aromi sulfurei, non propriamente ciò che si potrebbe volere nel proprio bicchiere.


E' indispensabile avere un frigo come camera di fermentazione, con temperatura controllata. E' molto importante ossigenare il mosto prima dell'inoculo, perchè i lieviti lager preferiscono molto ossigeno. Inoltre, la quantità del lievito inoculato deve essere di 1.5 milioni di cellule per millilitri di grado plato, mentre per i lieviti ad alta fermentazione è di circa 0.75 milioni di cellule. Dunque, i lieviti lager devono essere il doppio per lavorare bene rispetto ad un lievito Ale. Un'ulteriore aspetto che favorisce il lavoro dei lieviti è l'utilizzo di nutrienti. I lieviti lager richiedono un tempo maggiore per iniziare la fermentazione, non bisogna avere fretta. Alcuni produttori inoculano a temperatura più alta per aumentare la velocità di fermentazione, aiutando il lievito. Aspetto che non condivido, personalmente non inoculo mai oltre i due gradi di differenza con la temperatura di fermentazione (se solitamente voglio fermentare a 10 °C, l'inoculo avviene a 12°C). Inoltre, questi lieviti producono molto diacetile, che può essere riassorbito con una pausa chiamata Diacytl Rest, che sfrutta l'innalzamento della temperatura. Per pulire ulteriormente la birra a fermentazione completa, occorre un'ulteriore periodo conosciuto come lagerizzazione.


Profilo dell'Acqua
Non ho cambiato mai il profilo dell’acqua, ho preferito sempre utilizzare direttamente l'acqua in bottiglia della Sant'Anna o Blues Eurospin. Nonostante in questa produzione ho dovuto virare sull'acqua minerale Nestlé Vera, tutto merito della pandemia. Nel Mash e nell' acqua di sparge, ho modificato il pH  leggermente, fino ad ottenere un valore di 5.5.

Profilo di Mash
MASH-IN a 50 °C
1° step:  52°C per 10 min.
2° step:  67°C per fino a conversione
MASH-OUT a 78 °C per 10 min.

Boil 70 min

Luppoli
In amaro ho deciso di usare il Northern Brewer, anche se a dire il vero ho aggiunto anche una piccola parte di luppolo Saaz. Nella prima fase di luppolatura, un luppolo d'aroma messo in piccola parte con un luppolo d'amaro potrebbe migliorare il profilo dell'amaro. Mentre in aroma ho utilizzato solo luppolo Saaz.


Lievito
Dopo diversi dubbi ho deciso di usare nuovamente il lievito secco, più precisamente il Bohemian Lager M84, della Mangrove Jack's. Tenendo presente che ho prodotto 25 litri di mosto e inoculato 4 bustine di lievito, con una OG relativamente bassa e lievito non idratato.




Grafico di Fermentazione

domenica 12 aprile 2020

Riordino | Weekly Vlogs #2

Secondo appuntamento di Weekly Vlogs.
Un episodio che riguarda principalmente la riorganizzazione 
di lieviti, botti, laboratorio e magazzino.

giovedì 9 aprile 2020

Alla scoperta delle Fattorie Norvegesi

Prima di iniziare qualunque video sulle produzioni delle birre di Fattoria Norvegese, ho cercato di apportare informazioni utili anche sul mio canale YouTube.  Spero possa risultare una visione più nitida, di questo meraviglioso mondo.


Nella Norvegia, è uso comune chiamare tutte le tipologie di birre Maltøl (birre al malto), mentre Gårdsøl (birra della fattoria) viene usato per indicare le birre di fattoria. Siamo sicuramente abituati a pensare che dopo tutto un nome vale l'altro, Maltøl o Gårdsøl, invece ci porta comunque a generalizzare l'intero movimento brassicolo norvegese. Anche per questo è determinante analizzare con cura le differenti produzioni e possibili varianti presenti sul territorio norvegese. Individuare tutto ciò non è stato semplicissimo ma grazie a Lars Garshol e alle sue ricerche, riportate anche su Larsblog,  sono riuscito a venirne a capo. Almeno credo!

Vista la reale difficoltà di catalogazione di questi stili, in modo definitivo, mi riservo di verificare costantemente i nuovi possibili sviluppi.

lunedì 6 aprile 2020

Weekly Vlogs sul mio canale YouTube


Dopo averci ragionato molto, ho deciso di pubblicare il mio primo Weekly Vlogs. Per chi non sapesse di cosa parlo, i Weekly Vlogs sono dei semplici video che riassumono tutto ciò che accade durante la settimana. Questa nuova iniziativa dovrebbe garantire a chi mi segue, una presa diretta sulle mie esperienze. Una finestra aperta dove guardare ogni piccolo particolare della mia settimana casalingo brassicola.

Vorrei organizzare questo progetto in modo che possa risultare gestibile nel tempo, cercando di privilegiare i piccoli video quotidiani da assemblare il fine settimana, in modo da essere online ogni lunedì.

domenica 5 aprile 2020

Ho finalmente spacchettato l'impianto All-in-One

Il mio impianto All-in-One
Mai come in questo momento, mi trovo nella giusta circostanza per scrivere finalmente. Proprio così, dopo quasi 5 mesi dall'acquisto di un impianto KLARSTEIN Brauheld da 35 litri, oggi pomeriggio ho spacchettato praticamente tutto. Un ritardo da guinness world record!


Premetto che rispetto l'idea di tutto, ma io amo fare la birra allo stato puro, senza troppi controlli tecnologici e varie seghe mentali. Basti pensare che il mulino lo preferisco manuale. Voglio macinarlo io il malto, con le mie mani!

Si, capisco che è una mia esagerazione eccessiva, ma l'idea di avere un controllo "umano" sulla birra mi esalta. E' una sfida dove solo io posso sbagliare o fare bene.

Nonostante tutto, ho volutamente cercare un limite a questa mia ossessione. Dunque, ho scelto di acquistare questo tipo di impianto principalmente per aumentare il numero di cotte annuali. Fare birra con tecniche rudimentali e di fattoria, porta via tempo e risorse, che mi allontanano inevitabilmente dalle birre che generalmente bevo quotidianamente. Grazie a questo impianto spero di non diminuire il numero delle farmhouse (con produzioni del tutto tradizionali), ma di aumentare il numero delle altre birre in cantina grazie alla nuovo impianto, riducendo al minimo gli sbattimenti e i tempi di produzione.

Molti amici mi hanno chiesto il parere su questi impianti, ma non mi sono mai sbilanciato. Non sarebbe stato giusto da parte mia dare un giudizio basato principalmente sul pregiudizio e soprattutto per non avere un'esperienza diretta.

Per adesso è tutto, ciao amici e buona birra!

mercoledì 1 aprile 2020

Storia e Cultura del Sakè

Alla scoperta del Sakè
"Bisogna conoscere il carattere del lievito e il barile. 
Se gli parli, col cuore loro rispondono
e il sakè diventa un buon sakè."
Jirō Taniguchi

Il modo migliore per comprendere il prodotto di una cultura distante dalla nostra è quello di iniziare dal significato del nome. La parola Sakè (bevanda alcolica) è un termine generico per indicare qualsiasi bevanda alcolica. Mentre, ciò che noi occidentali identifichiamo con il nome di Sakè, in Giappone viene chiamato Nihonshu 日本酒 (alcol giapponese).

I due ideogrammi base
L'ideogramma del sakè  酒, oltre ad essere molto antico può essere letto in tre diversi modi. In letteratura moderna giapponese è letta kun o shu, mentre on per la cultura tradizionale cinese.

Questo stesso ideogramma è composto da altri due ideogrammi base chiamati radicali, acqua (nella foto a sinistra di colore rosso) e medicina (nella stessa foto di colore nero).

Curiosità: I giapponesi chiamano da sempre il vino budou-shu (ぶどう酒), dove shu (酒) è l'alcol e budou (ぶどう) è l'uva. Solo ultimamente la parola vino inizia ad essere tradotta in giapponese come uàin (ワイン). Anche per la birra si usa dire storicamente baku-shu (麦酒), dove shu (酒) è l'alcol e baku (麦) è l'orzo. Solo recentemente si preferisce chiamare la birra con la stessa pronuncia in giapponese di beer, bii-ru (ビール).

Ma che cosa è dunque l'alcol giapponese Nihonshu 日本酒 ?
Il sakè o Nihonshu è una bevanda alcolica, ottenuta dal processo di fermentazione del riso, a cui è stato aggiunto acqua, kōji (aspergillus oryzae) e lievito. Nonostante tutto, sono ancora molte le persone che fanno confusione, identificando il sakè (Nihonshu) come un distillato. Questo errore potrebbe essere dovuto al colore trasparente e alla simile percezione di bere una  grappa, meno alcolica. Dunque, non abbiate dubbi nel definire il sakè come un fermentato del riso. La gradazione alcolica di questa bevanda varia dal 12 al 16% e può essere bevuta calda o fretta, in base alla qualità del sakè e alla stagione in cui ci si trova al momento della degustazione.

Oiko che versa il sake
ad un guerriero Hokusai
Storia del Sakè (Nihonshu 日本酒)
Non esiste una data precisa dove si possa collocare la nascita del sakè, malgrado ci siano diverse teorie al riguardo. 

La nascita del processo di fermentazione del riso potrebbe risalire al V millennio a.C., nell’area del Fiume Azzurro, in Cina. Mentre un altro possibile luogo rilevante potrebbe essere all'area del Fiume Azzurro, durante il periodo della dinastia Shang (dal XVII al XI secolo a.C.), nella stessa Cina.

Le prime testimonianze sulla cultura del vino di riso giapponese emergono nel testo storico cinese "Cronache dei tre regni", più precisamente nel libro "Cronache di Wei" (nella sezione dedicata proprio al Giappone), risalente al III sec. d.C. In questo testo viene descritta l'usanza del popolo giapponese, di danzare sorseggiando una una bevanda alcolica a base di riso.

Nella cultura giapponese, il primo riferimento al sakè è presente nei Fudoki (風土記), antichi resoconti sulla cultura, la tradizione orale e la vita quotidiana delle varie province del Giappone (scritti durante il periodo Nara, tra il 713 e il 733). Si tratta del primo sakè, chiamato kuchikami no sake 口噛みの酒 (letteralmente sake masticato in bocca) e prodotto dalle sacerdotesse miko, dei santuari shintō (religione scintoista, un fenomeno tipicamente giapponese che caratterizza tutta la cultura del paese del sol levante). La produzione di questo sakè avveniva grazie agli enzimi naturali presenti nella saliva, che favoriva la conversione dell'amido in glucosio. Questo stesso processo di masticazione è stato riscontrato anche per la preparazione della chicha, una bevanda alcolica sudamericana.

Dal film animazione Your Name (del 2016),
la protagonista Mitsuha Miyamizu, 
produce il kuchikami no sake,
durante un rituale. 
Durante il periodo Yomato (questo nome deriva dal fatto che in questo periodo storico la Corte Imperiale era situata nella Prefettura di Nara ma che, al tempo, era nota come Provincia di Yamato. Il periodo Yamato include il Periodo Kofun 250-538 d.C. e il Periodo Asuka 538-710 d.C.) la produzione del sakè si estese per l'intero territorio giapponese, come la bevanda degli dei o degli imperatori. In base alle testimonianze riportate nelle Kojiki 古事記 (vecchie cose scritte) il sakè viene infatti associato alle divinità fondatrici del Giappone, Izanami e Izanagi. Il racconti riportano che nella terra emersa di Izumo (la prima area di sviluppo della civiltà Giapponese), un giorno il dio Susanoo, figlio di Izanami e Izanagi, si ritrovò ad affrontare un temuto serpente gigante con otto teste. Il serpente Yamata no Orochi venne sconfitto grazie ad otto barili di sakè, che fece preparare opportunamente Susanoo. Con il serpente stordito per il troppo sakè bevuto, Susanoo riuscì facilmente a sventrarlo, trovando al suo interno la spada kusanagi no tsurugi (oggi, uno dei tre tesori sacri dell'imperatore) e salvando l'ottava figlia di un'antica famiglia locale.

Susanoo combatte contro il serpente Yamata no Orochi
Il Sakè dopo la scoperta del Koji
Quello che oggi viene identificato come vero sakè è nato probabilmente all'inizio del periodo Nara (epoca che va dal 710, anno in cui l'Imperatrice Genmei spostò la capitale a Heijō, l'odierna Nara, al 784, quando l'Imperatore Kammu la spostò nuovamente a Nagaoka, l'odierna Kyōto), grazie alla scoperta del koji, un fungo. In base alle testimonianze riportate nelle Kojiki 古事記 (vecchie cose scritte), il koji venne portato in Giappone da un coreano di nome Susukori, il quale conosceva una nuova tecnica di produzione per ottenere sakè, sfruttando proprio questa particolare muffa del riso. Questo fungo (Aspergillus oryzae) cresceva sul chicco di riso, liberando gli zuccheri utili per la fermentazione. Dunque, la masticatura era ormai inutile ai fini della fermentazione.

Kome-kōji 米麹 (riso maltato)
Con il passare del tempo, il sakè divenne sempre più raffinato. La popolarità di questa bevanda alcolica fece istituire un organismo per la sua preparazione, addirittura nel palazzo imperiale di Kyoto, l’antica capitale dell’impero giapponese. Questo portò alla creazione di una nuova figura professionale, il tōji (杜氏), responsabile della preparazione del sakè.

Durante la Restaurazione Meiji del 1868, ci fu un’apertura legale per chi aveve le conoscenze e i fondi necessari per iniziare nuove produzioni di sakè. In un solo anno le fabbriche aumentarono di trenta mila unità. Nonostante tutto, le successive tassazioni sull'industria del sakè portarono in poco tempo alla chiusura di otto mila stabilimenti.

Nel 1904 il governo aprì l’istituto di ricerca per la produzione di sakè,  organizzando la prima gara di degustazione nel 1907. In questo stesso periodo, vennero abbandonate le botti di legno preferendo i serbatoi in acciaio smaltato, per la facili di pulizia e i limitati rischi per la proliferazione dei batteri. Mentre, i ceppi di lievito vennero specificamente selezionati e isolati.

Nel 1898, le tasse sul sakè rappresentavano il 46% del reddito totale delle imposte al governo. Inoltre, a causa della guerra russo-giapponese (1904-1905), il governo vietò la doburoku 濁酒 (la produzione domestica del sakè), perchè non soggetta a tassazione. Questa stessa legge potrebbe essere ancora valida in Giappone.

Nel 1943, venne creato il kyùbetsu-seido, un sistema per la classificazione di tre sole categorie di sakè. La tassazione avveniva in base alle categorie: eccellente, prima e seconda scelta. Tutto ciò agevolava i produttori più ricchi che potevano pagare le tasse, aggiudicandosi la classificazione migliore. 

Durante il periodo della seconda guerra mondiale, la produzione del sakè subì un notevole calo. Le quantità di riso utilizzabili per il sakè diminuire drasticamente, le coltivazioni di riso provvedevano al sostentamento dei soldati e del popolo. Questa difficoltà di produzione portò il governo ad emanare un decreto che permetteva di aggiungere alcol puro e glucosio alla miscela di riso.

Il mattino del 6 agosto 1945, alle ore 8:15 l'aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica "Little Boy" sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo dal lancio dell'ordigno "Fat Man" su Nagasaki. Il numero di vittime dirette è stimato da 100.000 a 200.000, quasi esclusivamente civili.

Hiroshima, 6 agosto 1945
L'atto di resa venne ufficialmente firmato il 2 settembre. Con la fine della guerra, le tantissime perdite e il grande livello di devastazione, il Giappone trovò comunque la forza di reagire. In pochi anni la popolazione giapponese  migliorò notevolmente tutte le attività industriali, sakè compreso.

Nonostante la qualità del sakè andava migliorando sempre di più, gli anni sessanta segnarono un nuovo declino a causa dell'introduzione di bevante straniere. Con l'arrivo del vino e della birra, crollò il consumo interno di sakè.

Nel 1989, venne modificato il sistema di classificare del sakè, il kyùbetsu-seido. Mentre nel 1992, questo stesso sistema fu sostituito con l'attuale sistema di classificazione, basato sulla raffinazione del riso e la presenza o meno di alcol aggiunto.

Barili per Sakè
Oggi la qualità del sakè risulta ai suo massimo livelli, con una diffusione su scala mondiale, ma gli introiti da esportazione dal Giappone potrebbero non bastare a mantenere viva l’industria. La quale è passata dalle 3.200 fabbriche degli anni ’70, a meno delle attuali 1.400. Ad ogni modo, il sakè inizia ad essere prodotto anche all'estero.

Deustazione Sakè
Curiosità: il 1° ottobre in Giappone è la giornata ufficiale del sake, Nihonshu no Hi 日本酒の日. 

Questo post è solo a scopo informativo, sulle mie esperienze, non mi assumo la responsabilità su ciò che farete e sui danni che potrete causare.